5 - TURinTAO - PERCORSI ESCURSIONISTICI

Dolci colline tra Bricherasio e Bibiana
D'OLIO, DI VINO E DI ALTRE DELIZIE

TEMPO MINIMO NECESSARIO

Mezza giornata
(idoneo per il week end / sabato pomeriggio o domenica mattina)

STAGIONE CONSIGLIATA

Tutto l'anno
Ideale in autunno

CHILOMETRI

***

DIFFICOLTÀ

1/5

NOTIZIE da mettere nello zaino

La vite, in Piemonte, era già diffusa nell’era neolitica: è la conclusione cui sono giunti alcuni studi genetici condotti su reperti archeologici. L’analisi linguistica attribuisce un ruolo importante nella diffusione della viticoltura ai celti: molti dei termini piemontesi usati nell’industria enologica (brenta, bricco, bonda…) sono, infatti, di origine celtica. L’arrivo dei romani, che attribuivano grande importanza alla viticoltura, contribuì al miglioramento delle tecniche. Nel cuore del Medioevo, questo territorio ospitava una delle vigne predilette da Casa Savoia, collocata sulla collina del Molar (o Molare o Mollar) a Bricherasio. Qui, come nella vicina Campiglione, ebbe sviluppo un vitigno che sarebbe diventato la base per alcuni tra i migliori vini del mondo: il Nebbiolo. Ancora nell’Ottocento, il vino di Campiglione e quello di Bricherasio rivaleggiavano con quello delle Langhe…

ITINERARIO

Partendo da Bibiana, il modo più piacevole e sicuro per raggiungere Bricherasio è seguire il tracciato della vecchia ferrovia Bricherasio-Barge, sul cui sedime è stata ricavata una pista ciclabile. S’imbocca a poche centinaia di metri dalla partenza e conduce, grazie a un suggestivo ponte sul Pellice, sulla sinistra orografica del torrente.

Bricherasio è un paese di vocazione agricola con molte residenze aristocratiche e una storia importante. Il nome può suonare familiare anche ai torinesi (e non solo). Il centralissimo Palazzo Bricherasio, centro culturale di grande tradizione, deve il nome alla famiglia Cacherano di Bricherasio, le cui radici, ovviamente, affondano in paese. All’inizio del Novecento, tuttavia, aveva un’altra residenza a pochi chilometri di distanza da qui: il castello di Miradolo, a San Secondo di Pinerolo, che fu abitato dall’ultima erede della famiglia, Sofia, fino alla morte, avvenuta nel 1950. La contessa Sofia Cacherano di Bricherasio, mecenate e appassionata d’arte, allieva di Lorenzo Delleani, era la sorella d Emanuele, co-fondatore della Fiat, scomparso prematuramente nel 1904. È bello immaginare come, durante la Belle Époque, il bellissimo parco del castello fosse frequentato da ospiti illustri, come il capitano Federico Caprilli, che – nella celeberrima Scuola di Cavalleria di Pinerolo – seppe rivoluzionare il modo di stare in sella.

Anche il presente del Castello di Miradolo è luminoso: la Fondazione Cosso, proprietaria dal 2007, ha riportato l’edificio e il parco agli antichi splendori, trasformandoli in un prezioso polo culturale, sede di mostre, concerti, incontri e attività di promozione del sapere.

Per raggiungere Miradolo da Bricherasio si deve puntare su Cappella Moreri, poi, dopo un brevissimo tratto sulla Provinciale 161, risalire via Godino Delio verso il centro di San Secondo. Da qui si può scendere fino alla frazione caratterizzata dal castello, situato in posizione un po’ defilata, in aperta campagna.

Ma torniamo a Bricherasio (con il racconto o anche in bici, se abbiamo scelto di effettuare la digressione a Miradolo). La presenza di un poggetto fortificato rese strategica questa località durante le guerre cinquecentesche. Quando nel 1592 – in conflitto con il Ducato di Savoia – le truppe francesi guidate dal duca di Lesdiguières si riappropriarono della Val Chisone e della bassa Val Pellice, si asserragliarono qui, ricostruendo la fortezza. Due anni dopo Bricherasio subì, perciò, un durissimo assedio da parte di 10.000 soldati piemontesi, lombardi, svizzeri e spagnoli: per un mese i francesi resistettero eroicamente, ma le conseguenze furono tali che i superstiti civili furono appena 349.

Su quella che ancora oggi è chiamata la “collina del Castello”, accessibile con due pedalate dalla piazza principale del paese, pochissime sono le testimonianze d’epoca rimaste intatte, ma il luogo merita una tappa per la bellezza del panorama, la presenza di un curioso, minuscolo edificio patrizio, di una vecchia scalinata e, soprattutto, di alcuni vigneti di qualità, curati dalla Scuola Malva Arnaldi di Bibiana. Proponiamo la visita in vigna, per poter cogliere fino in fondo l’importanza del lavoro di recupero, condotto dai tecnici della scuola, dell’antica tradizione vitivinicola della zona.

Dopo aver ripreso la strada di San Michele, che porta dal centro storico all’omonima frazione, svoltiamo a sinistra in via Torretti, seguendo le dolci linee di un altro poggio coltivato a vite e actinidie. Nelle belle giornate autunnali non ci sorprenderemmo se qualcuno potesse immaginare di trovarsi nelle Langhe. L’itinerario ci conduce alla Rivà, una località caratterizzata da una piccola e linda chiesetta e dall’azienda agricola La Rivà di Luca Trombotto. Si tratta di un produttore che ha ripreso e modernizzato la vocazione di famiglia, disponibile ad aprire le porte della sua cantina per una visita e una degustazione.

In alternativa, poco più a monte, lungo strada Rivà, è possibile effettuare una sosta presso i Badariotti, non lontano da una cascina cui è legato un tragico fatto della guerra di Liberazione, dove, in un invaso artificiale con finalità irrigue, chi non è mai andato in canoa può godersi il suo  “battesimo dell’acqua”. Lo propone la scuola Free Flow, diretta da un canoista di fama internazionale: Francesco Salvato.

 

Proseguiamo il percorso affrontando un tratto di discesa: dalla fascia collinare stiamo infatti scendendo verso la pianura. Entriamo nel territorio di Luserna San Giovanni, tra campi, frutteti e allevamenti nella zona del paese che fu principalmente valdese. Giunti sulla strada vecchia di San Giovanni, però, non procediamo verso i Bellonatti, bensì in direzione opposta, di nuovo verso Bricherasio. In un’altra località pre-collinare ha preso piede una coltivazione forse inattesa: quella dell’ulivo. Non ce l’aspetteremmo, in una zona in cui, tradizionalmente, l’olio era di noci e il grasso più usato in cucina era il burro (o al massimo lo strutto). Invece la zona della Roncaglia, particolarmente esposta al sole e riparata dalle correnti fredde, sta sperimentando con buoni risultati l’ulivicoltura. Mario Bianciotto e Graziella Salusso, dell’azienda agricola Salfrutta, amano le sfide: accanto a kiwi, mele, mirtilli e uva, hanno impiantato l’esotico pawpaw e, appunto, ben quattro varietà di olive: frantoio, leccino, brisighella e pendolino, da cui ricavano (e imbottigliano) olio di qualità.

Dopo la visita ci accingiamo a percorrere un breve tratto di Provinciale: è una strada trafficata, quindi occorre prestare la massima attenzione, anche quando – in corrispondenza di una grande rotonda – torniamo sul versante destro del Pellice fruendo del ponte Nuovo. È il modo più breve per tornare a Bibiana: prima di rientrare all’agriturismo Il Frutto permesso, però, ci attende un’altra scoperta. Il nome della Scuola Malva Arnaldi è riecheggiato più volte, nel corso della giornata: molti di voi, quindi, saranno curiosi di visitare questa bella cascina, ristrutturata con gusto e divenuta un centro di conservazione, divulgazione, ricerca e sperimentazione al servizio dell’agricoltura e dell’ambiente. Qui, con rigore scientifico, si tutela la straordinaria varietà delle colture della nostra regione. Nei campi-collezione della Scuola Malva Arnaldi sono presenti ben 450 varietà di melo, 80 di pero, 80 di vite e oltre 100 di drupacee (susino, albicocco, pesco). Si riserva attenzione anche all’actinidia, che – pur non essendo autoctona – è stata introdotta in questa zona da tempo, ed è interessante preservare le prime specie giunte in Italia.

Tra le tante specialità prodotte dalla Scuola Malva Arnaldi, optiamo per degustare un metodo classico locale che, siamo certi, non mancherà di stupirvi. In sede sarà possibile assaggiare altri prodotti di zona, compreso l’olio di cui abbiamo conosciuto i segreti alla Roncaglia.

Le ultime pedalate ci portano agevolmente all’agriturismo da cui siamo partiti, con in bocca e negli occhi i sapori di un territorio che ha fatto della varietà colturale – spesso accompagnata dalle tecniche dell’agricoltura biologica – la sua ricchezza in ambito agricolo.

Il laghetto dei Badariotti

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