2 - TURinTAO - PERCORSI ESCURSIONISTICI

L'ALTA VAL PELLICE
Un'oasi di biodiversità​

salendo sopra Bobbio

TEMPO MINIMO NECESSARIO

Una giornata

STAGIONE CONSIGLIATA

da giugno a settembre

CHILOMETRI

***

DIFFICOLTÀ

4/5

NOTIZIE da mettere nello zaino

La Val Pellice è considerata una valle chiusa, vista la mancanza di un collegamento stradale o ferroviario con la Francia (per oltre un secolo si è parlato di realizzare un traforo al Colle della Croce). In realtà, la storia insegna che la montagna non ha mai rappresentato un limite: al contrario, gli scambi commerciali sono sempre stati più intensi con il versante francese che non con la vasta pianura piemontese. Le ragioni? Politiche, culturali e linguistiche.

ITINERARIO

Il consiglio è partire da Torre Pellice se non addirittura da Bobbio Pellice, ovvero il Comune in fondo alla Val Pellice, nel cui territorio si svolge la gran parte dell’itinerario. Si tratta di un percorso di montagna, quindi è consigliato solo alle persone allenate. In alternativa, è possibile affrontare solo alcuni tratti, con l’appoggio del mezzo al seguito.

Qualora si parta da Torre Pellice, si attraversa il paese passando dall’area pedonale, che, dopo aver costeggiato il Municipio e l’ex Caserma Ribet, s’inoltra nella cosiddetta zona valdese, che merita una pausa al ritorno (fattibile in particolar modo per chi opta per un percorso ridotto). La strada, che a un certo punto torna percorribile dalle auto, conduce all’antico borgo di Santa Margherita, poi inizia a salire con pendenze impegnative fino all’ex-Ospedale valdese, oggi Casa della Salute.

Qui occorre immettersi nella strada provinciale, con cui si prosegue nell’ascesa, sia pure con pendenze meno impegnative. Dopo l’abitato di Chabriols si entra nel territorio di Villar Pellice, dove si comincia ad apprezzare l’ampiezza e la dolcezza della valle, con i suoi prati – che accolgono ancora gli animali al pascolo – e le vecchie cascine. Sui versanti, invece, si notano ricchi castagneti, che hanno offerto, storicamente, un’importante fonte di nutrimento, oltre al legno per lavori edili, mobili e riscaldamento.

Villar Pellice è un grumo di case in posizione scenografica, un tempo luogo di villeggiatura frequentato da personaggi celebri e, ancora oggi, adatto al turismo dolce, soprattutto per chi ama il campeggio. Lasciato alle spalle il paese, si giunge in località Garin, dove imponenti lavori sul versante indicano il luogo in cui, nel 2008, si verificò una colata detritica improvvisa che purtroppo causò la morte di quattro persone.

I prati tornano a essere molto ampi e verdi, grazie a un sistema di irrigazione alimentato dalle acque del torrente Pellice. La strada continua a salire ma dolcemente. L’abitato di Bobbio, che compare all’orizzonte, permette di rifocillarsi in piazza, dove ci sono alcuni locali e una fontana. Questo può rappresentare, come dicevamo all’inizio, un buon punto di partenza per chi desidera concentrarsi sulla parte più montana dell’itinerario.

Da Bobbio, infatti, ci s’inerpica lungo una strada asfaltata più stretta, che conduce, in uno scenario sempre più aspro e meno urbanizzato, fino a Villanova, a quota 1.223 metri sul livello del mare. Questa località suggestiva, tutta in pietra, con una cascatella scenografica e un’ottima fonte a disposizione del viandante, rappresenta la fine del nastro d’asfalto. Da qui si dipartono un sentiero, una mulattiera e una pista agro-silvo-pastorale, in certi periodi dell’anno accessibile anche ai mezzi motorizzati, ma in numero limitato, solo in orari ridotti e a fronte di un pedaggio.
Occorre procedere con cautela, perché in questa zona vive una specie protetta: la Salamandra lanzai, che potrebbe attraversare la pista. Il suo habitat, straordinario esempio di biodiversità, è stato definito come Sic – Sito di interesse comunitario.
L’itinerario, nei mesi estivi, è particolarmente apprezzato dagli escursionisti. La ragione è chiara a chiunque giunga qui: lo spettacolo che ci circonda è mozzafiato. In corrispondenza della cascata del Pis, su un grande masso è riportata una poesia di Nino Costa ispirata dalle chiare acque del Piemonte. E non siamo ancora giunti nel luogo più celebre: la conca del Prà, un ampio anfiteatro naturale di insolita bellezza che ci ripaga della fatica compiuta per raggiungerlo. 

All’inizio della conca si trovano il rifugio Willy Jervis e la Ciabota del Prà, un antico albergo – oggi dedicato alla ristorazione – che accoglieva le tante persone che, ancora a inizio Novecento, si recavano a piedi in Francia per scambiare della merce o per cercare opportunità di lavoro stagionale. La conca è quasi perfettamente in piano: a giugno potreste trovarla ricoperta di una fioritura emozionante. In questa zona si continua a praticare l’agricoltura di montagna e soprattutto l’allevamento itinerante. Sono ancora numerose le famiglie del posto che trascorrono qui la bella stagione, con il bestiame al seguito, scendendo a valle nel mese di ottobre. Nel cuore della conca sorge ad esempio l’agriturismo Catalin, con il suo laboratorio di produzione casearia. Tra le specialità da assaggiare, oltre alla toma e ai caprini, c’è senz’altro il saras dël fèn, la tipica ricotta d’alpeggio, presidio Slow Food, tradizionalmente prodotta durante l’estate, con il latte delle vacche alimentate con erba fresca, e portata a valle in autunno, protetta dal fieno di un’erba particolare: la festuca.

È possibile dedicare la giornata alla visita della conca e dei suoi produttori, oppure continuare a pedalare, salendo ancora – dopo aver superato, mediante un ponticello, il torrente Guicciard – verso il Barant. Si tratta di un colle, a quota 2.383, che raggiungiamo dopo aver superato un lariceto secolare e grandi concentrazioni di rododendri. Lungo la strada, è possibile effettuare una deviazione verso l’Alpe La Russa, l’alpeggio di Pier Claudio Michelin Salomon, uno dei più noti produttori di formaggio della zona.

Il colle Barant è anticipato da uno splendido giardino botanico alpino intitolato a Bruno Peyronel. Non a caso, lo ricordiamo, siamo all’interno di un Sito d’interesse comunitario. Alla sommità della strada sorge invece una grande struttura, che è stata casa cantoniera e oggi è rifugio escursionistico.

 

Rigenerati, possiamo proseguire in discesa lungo una straordinaria strada militare, capolavoro di ingegneria. L’Esercito del Regno d’Italia organizzò su queste pendici alcune fortificazioni in vista della guerra alla Francia, che però fu sferrata da Mussolini solo quando la Nazione confinante era già in ginocchio, con le truppe naziste ormai prossime a Parigi. Quest’aggressione ha rappresentato una ferita aperta, soprattutto per la popolazione di queste valli, da sempre legata da rapporti commerciali, di lavoro e d’amicizia con l’altro versate delle Alpi. Gradualmente, nel dopoguerra, l’affinità culturale e lo spirito europeo ha contribuito al ripristino degli antichi legami.

La discesa verso valle ci porta abbastanza rapidamente nella zona detta del Barbara: un toponimo che si è affermato nell’ultimo secolo, in conseguenza dell’intitolazione a Barbara Lowrie di un rifugio alpino, inserito un altro, bellissimo e frequentatissimo, contesto montano. Più circoscritto rispetto alla conca del Prà, ma non meno suggestivo, il Barbara – situato in cima alla comba dei Carbonieri, a 1.753 metri slm – è sede di altri alpeggi. Al Pis della Rossa si distingue quello della famiglia Melli-Gonnet.

Possiamo scendere a valle fruendo di una strada asfaltata che, per le dimensioni ridotte della carreggiata e le pendenze, va affrontata con estrema prudenza. Non è necessario essere un esperto di ciclismo per capire perché, tra gli appassionati, questa strada, in direzione opposta, è considerata una delle salite più dure d’Italia.

In fondo, rieccoci sulla Provinciale che collega Villar Pellice a Bobbio Pellice. Possiamo tornare a Bobbio seguendo la strada dell’inverso oppure, se siamo partiti da Torre Pellice, possiamo scendere in paese ripercorrendo l’itinerario dell’andata. Magari compiendo una deviazione, a Villar Pellice, verso frazione Maussa, dove l’azienda agricola Davit Nadine propone l’agriturismo Il Mausset.

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